Ricordo di Michele
di Masolino d'Amico
Michele Valori era molto più grande di me, quindi in origine amico piuttosto di mio padre e di mio zio, ma avendo egli sposato una coetanea mia e di mia moglie le distanze si ridussero, e le nostre figlie nacquero e crebbero insieme, soprattutto l’estate, da tempo immemorabile trascorsa a Castiglioncello sia dalla famiglia Valori, proprietaria della villa “Il Cantuccino”, sia dalle varie famiglie d’Amico. Michele lo conoscevo bene da molto tempo prima delle sue nozze di vecchissimo scapolo (così mi sembrava allora, ma aveva poco più di quarant’anni!), perché prima di convolare anche io ero stato, e dopo sarei rimasto, legatissimo alla coppia formata da Bice Valori sorella di Michele, e da suo marito Paolo Panelli.
Michele lo conoscevo bene da molto tempo prima delle sue nozze di vecchissimo scapolo (così mi sembrava allora, ma aveva poco più di quarant’anni!), perché prima di convolare anche io ero stato, e dopo sarei rimasto, legatissimo alla coppia formata da Bice Valori sorella di Michele, e da suo marito Paolo Panelli. E Michele era la pupilla degli occhi di Bice, il suo più grande complice e confidente; loro due erano i più piccoli dei cinque rampolli di Aldo Valori, nonché quelli che – dopo un funzionario ministeriale, una dottoressa e un sacerdote gesuita – avevano sentito il richiamo dell’arte. Come nelle coppie veramente affiatate, erano molto diversi e quindi complementari, Michele pignolo, moralista e operoso, Bice allegra, frivola e indolente; ma in realtà questi erano i ruoli che recitavano reciprocamente, la cosa che avevano in comune- e che li differenziava sia dagli adorati genitori, sia dagli amatissimi fratelli maggiori – era un fortissimo senso dell’umorismo.
Quando Panelli entrò nella vita di Bice portandosi un’ulteriore ondata di spensieratezzae di anarchia, Michele che viveva solo e li raggiungeva volentieri la sera dopo lo spettacolo, si assegnò la parte dl testimone austero e disapprovante. Per esempio, sotto l’ombrellone, Panelli, non si stancava di ripetere decine e decine di volte le stesse irresistibili scenette che inventava a beneficio degli amici. “Basta con queste sciocchezze!” diceva serio Michele, allontanandosi. E Paolo, agli altri: “E’ la tragedia della mia vita: il cognato col buon gusto”. Ma poi quando era di buonumore Michele partecipava anche lui alle scenette, anzi, occasionalmente ne creava; famosa la sua imitazione di vari tipi di sciancati.
Era anche bravo a inventare soprannomi e battute di cui talvolta altri poi si sono attribuiti il merito. Fu lui che chiamò una comune amica molto fiera della sua mousse di cioccolata, “La volpe del dessert”. D’altro canto non c’è dubbio che il suo vigile“buon gusto” esercitasse un’influenza non piccola sulla carriera dei due congiunti comici di professione che in qualche modo sapevano di dover rendere conto delle loro scelte a lui, severo ma brillante.
Per quelli di noi che non appartenevano al suo campo di lavoro, Michele Valori era una persona affascinante, di notevole intelligenza e chiarezza di idee, insofferente, umorale – spesso malinconica – ma estremamente attenta, curiosa di tutto e piena di una cultura che divideva volentieri. Era il compagno di viaggio ideale, e credo che una volta mio padre lo abbia seguito in Germania per qualche giorno al solo scopo di godersi i suoi commenti sugli edifici in cui si imbattevano passeggiando. Il ricordo della sua intransigenza basta a spiegarmi il motivo per cui non abbia fatto fortuna nella Roma dei palazzinari in cui crebbe e si trovò a operare, penso tuttavia che se l’urbanistica ha sottovalutato un personaggio simile, da commiserare è lei, non Michele, il quale come persona, e questa è stata la lieta sorpresa, vive in questo libro luminoso e involontario, nel quale chi lo ha conosciuto lo ritrova parlante, con quella sua ironia lucida anche se mai aggressiva.
E che eccellente scrittore si rivela! Pagine così limpide nei nostri anni le troviamo di rado, e non negli autori più ammirati dalla critica ufficiale; io penso a degli irregolari, magari rimpianti troppo tardi, come Campanile e Flaiano. Certo a tanta felice semplicità espressiva contribuivano i forti ascendenti fiorentini che Roma non riuscì a imbastardire. Ma nel suo caso c’è di più, e io credo che, pur scherzando, suo cognato Panelli cogliesse nel segno quando parlava di buon gusto. E’ vero: in fondo, tutta l’attività di Michele Valori fu contrassegnata dalla ricerca e dall’esercizio di quello che scherzosamente Panelli chiamava buon gusto, ma che nasce in alto, e che non ci si dovrebbe vergognare di definire classicità, rigore, purezza. Guardate il rispetto e la coerenza con cui Michele si rivolge alle figlie bambinette nelle sue lettere, per divertirle, rassicurarle ed insegnare loro qualcosa: con che impeccabile precisione di dettato, con che onestà di argomenti, le sue pagine conoscono il segreto della divina schiettezza toscana, e divulgano a modo loro la stessa lezione di perfezione sobrie e pacifica che emana, non so, una parete in calce e pietra serena disegnata da Bernardo Rossellino (e alla quale aspiravano gli atelier di Michele, sempre ordinatissimi, coi loro bicchieri di matite temperate a puntino). Questa aspirazione al nitore appartiene alla tradizione italiana più preziosa, dal Quattrocento a oggi, e voltandomi a guardare adesso mi sembra di capire che abbia impregnato tutta l’esistenza di questo uomo scorbutico e affettuoso, complicato dentro quanto esternamente impegnato nello sforzo di conciliare.
In conclusione, non so quale segno il professor Valori, che come docente è stato certo molto seguito, abbia lasciato nell’architettura: ma della persona alla quale ho voluto bene – e dopo aver letto questo libro, ne sono tanto più fiero – posso affermare qualcosa che nella nostra epoca è ancora più raro del successo, e cioè che vinse certamente la sua quotidiana battaglia contro quel nemico supremo degli architetti e degli uomini in generale del nostro tempo, voglio dire la volgarità.